Su una tavola sono fissate stecche prismatiche triangolari di legno, dipinte sulle facce laterali. Collocandosi in posizione opportuna di fronte alla tavola, e osservandola dall’alto in basso, si vede la serie delle facce anteriori delle stecche dipinte, che compongono una immagine. Lo specchio inclinato dietro alla tavola permette invece di vedere le facce posteriori delle stecche dipinte, che compongono una immagine diversa. 

L’artificio era molto diffuso e utilizzato nelle feste di corte. Lo descrivono per esempio E. Danti nelle Due regole della Prospettiva pratica di J. Barozzi da Vignola (1583), J. F. Niceron nel volume La perspective curieuse ou magie artificielle des effets merveilleux (1638). Le due immagini erano collegate (un principe e la figlia, un monarca e la consorte, un potente e un personaggio illustre della sua corte, il sepolcro di Cristo e la figura di Cristo risorto, ecc.).

L’uso dello specchio apparenta le tabulae scalatae alle anamorfosi catottriche, le accomuna in un’aura magico-simbolica: “l’immagine riflessa si rivela entro una profondità irraggiungibile; si anima, si muove, cambia al minimo spostamento degli occhi; vive, presente ma intangibile, entro un regno fatato”.

Abbiamo utilizzato un celebre quadro dell’Arcimboldo (L’Ortolano, 1590: rappresenta un cesto di ortaggi, ma ruotato di 180° diventa il volto di un uomo)  perché si ricollega strettamente alla tradizione ermetico-alchemica rinascimentale: “l’intera creazione sboccia nel volto dell’uomo, ogni suo ordine trova maturità piena nei limiti di questo segno; i diversi segni, trasformandosi nel volto dell’uomo, qui rivelano il proprio significato”.

 

 

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